LA MIA GIORNATA
luyued 发布于 2011-01-25 04:47 浏览 N 次Questa mattina l’aria è più fresca del solito. Credo sia dovuto alla vicinanza del “Hindukush”, che ci guarda maestoso, e della sua catena montuosa con le cime ancora innevate che circondano questa grande città.
Preferisco indossare, sotto la mia tuta, un buon pile caldo; non vorrei tremare dal freddo una volta in volo.
Solitamente non faccio colazione, ma questa mattina ho come un buco allo stomaco. La sala mensa è enorme. La riempiono tavoli e sedie con 2 distributori pieni di uova, beacon, latte, frutta. Sui muri bandiere fanno da quadri e in un angolo della sala dei separè in legno sono tappezzati con foto che rappresentano momenti di vita quotidiana. Un incessante brusio la rende viva. Lingue incomprensibili ma se ne capisce la provenienza. Basta un sorriso e un cenno con la testa per scambiarsi un saluto, un sorriso e un “Good morning, Sir”. Dopo il consueto e obbligatorio lavaggio delle mani vado alla ricerca di qualche cornetto caldo. Avrei preferito trovare quelli del “Martinucci” o delle “Parmente” con l’impasto morbido e crema ancora bollente, ma vanno bene anche questi; ci metterò della marmellata o del cioccolato. Un po’ di latte, un bicchiere di spremuta d’arancia e sono pronto ad affrontare la mia giornata.
E’ ancora presto, ma i motori rombano e le pale che frullano l’aria fanno sembrare di essere in piena attività di mezza giornata. E’ un continuo movimento sia di velivoli che di persone, tutti impegnati nei loro lavori giornalieri.
Il briefing ci fornisce gli ultimi aggiornamenti sulla nostra attività di volo. “Ragazzi, avete ricevuto le vostre istruzioni, sapete cosa fare…..in bocca al lupo”.
“in bocca al lupo”, ma non c’è un’altra frase più simpatica, meno aggressiva e più adatta al luogo?
Perché dovrei andare proprio in bocca al lupo se la mia intenzione è quella di ritornare nella mia stanza ed ascoltare vecchie canzoni degli Who o di Bob Dylan? Mi piacerebbe una frase del tipo “ritornate presto che oggi si mangia bene”, oppure “non fate tardi che dopo c’è una festa”. E’ meno traumatica del solito “in bocca al lupo”. Finire nelle fauci di quell’animale non è piacevole.
Torno ad essere concentrato e curo nei dettagli la mia preparazione sull’attività che dovrò svolgere. Mentalmente ripeto parole e procedure che all’occorrenza potrebbero tornare utili.
“Prova radio”, “forte e chiaro”, “OK forte e chiaro anche per me”.
Le candelette innescano l’avviamento, i motori rombano e le pale girano frullando l’aria.
“Torre chiedo l’autorizzazione al decollo”, “autorizzati al decollo”.
Inizia la mia missione.
Alzarsi da terra e osservare persone, alberi, case, colline oppure stare su un’enorme distesa di panna montata, soffice e bianca che in quel momento le nuvole possono farti immaginare mi da, ancora oggi, nonostante siano passati molti anni, una certa emozione difficile da rimanere indifferenti.
L’enorme “uccello” si alza lentamente dal suolo, mentre l’asfalto scorre veloce. La quota aumenta sempre di più sino ad avere una prospettiva tale da poter osservare ogni cosa. La velocità non mi permette di respirare, ma una giusta inclinazione della testa mi facilita l’operazione.
Vedo tutta la città, la sua forma, le strade, il traffico. E’ impressionante quanto sia grande. Un fiume la divide in due. I veicoli che circolano sembrano tante formiche colorate che si muovono a tratti. Le case sono ovunque, alcune diroccate altre in costruzione e altre ancora ben tenute. Molte persone popolano le vie del centro, le piazze e i mercati. Su delle collinette sventolano bandiere verdi con dei fiori alla base dell’asta. Si intuisce subito che sono spazi riservati ai defunti.
I bambini corrono nei campi. Alcuni agitano le braccia per salutarci, altri saltellano in un girotondo. I più piccoli si nascondono dietro le vesti delle mamme, i più grandi si divertono a lanciare dei sassi con le loro fionde o a correre con aquiloni colorati.
La città lascia spazio alla periferia e si nota subito la netta differenza. Il terreno è polveroso che fa pensare al deserto, con poche strade e per nulla asfaltate. Le case sono fatte di mattoni e fango. Simili tra loro; un quadrato di terreno e su due lati le stanze per la vita familiare. Sui tetti delle case tappeti e tendaggi sono lasciati ad asciugare. Le donne, all’interno del quadrato, preparano da mangiare o prendono l’acqua da un pozzo. I bambini giocano. Una mucca o qualche pecora occupano il resto del quadrato. Poca è la terra coltivabile e sola vicino ai corsi d’acqua.
Dopo la periferia il nulla. Le strade sono quasi inesistenti, poche sono quelle asfaltate che collegano i centri importanti, le altre sono strette e tortuose ad una sola corsia che si diramano ai piedi delle colline. Una colonna di macchine e camion colorati è diventata lunghissima.
Sembra una terra arsa dal sole e dimenticata da Dio. Il terreno si presenta con profondi solchi dovuti alla mancanza d’acqua. Molti fiumi sono secchi e nei loro letti ci sono muli al pascolo e tende di contadini.
Nella vallata sono sparse fabbriche di mattoni; alcune in attività altre dimesse da tempo. Hanno una forma ovale e al centro una costruzione che sembrerebbe un forno. Gli uomini scavano il terreno, riponendo il materiale dentro delle forme pronte per la cottura, costruendo, così, cumuli di mattoni sino all’esaurimento del terreno all’interno della fabbrica ovale.
Io continuo a volare e a guardare fuori. Tutto sembra tranquillo.
Il terreno inizia a cambiare la sua forma. Da distese di sabbia e sassi a collinette sparse lungo la vallata. Viste da questa altezza sembrano tanti panettoni uno accanto all’altro.
Ormai sono lontano dal caos della città, ora c’è solo il rumore del mio elicottero.
Sorvoliamo un gregge di pecore che impaurito scappa in ogni direzione. Il pastore solleva il suo bastone, ma non capisco se per salutarci o come segno di protesta.
Il nostro volo continua zigzagando tra le colline e le vette delle montagne. Siamo talmente vicini che sembra di toccare le rocce con le pale dell’elicottero.
Il mio sguardo è sempre lì, vigile, pronto a scrutare ogni centimetro di costone, vetta o buco.
Qualcosa attira la mia attenzione. Si muove lentamente. Sono ancora troppo lontano per capire cosa sia. Ci avviciniamo, mentre continuo a guardare. Pian piano si delineano i contorni e tutto prende forma. Spontaneamente dalla mia bocca esce fuori una risata. Due cammelli carichi all’inverosimile si spostano con al seguito un gruppo di persone, credo sia una famiglia in movimento in cerca di un nuovo villaggio; chissà per cosa li avevo scambiati, ma non ci penso più.
Di tanto in tanto si notano vecchi ruderi di torrette d’altri tempi. Sembra un paesaggio lunare.
La nostra quota è aumentata e davanti a noi una vetta da scavallare. A vederla mette quasi paura.
All’improvviso una virata accentuata a destra e una a sinistra. - “Cosa succede?” urlo nel mio mike, mentre cerco di guardare fuori. - “Tranquillo!” mi risponde il pilota – “un’aquila voleva suicidarsi”. Un coro di risate tappano le mie orecchie. Bisogna essere sempre pronti e reattivi ad ogni circostanza e fidarsi pienamente l’uno dell’altro. Una volta in volo bisogna lasciare a terra ogni problema, cruccio, pensiero e concentrarsi unicamente al volo. Per questo nel nostro gruppo c’è coesione, intesa e fiducia.
Si vedono, nuovamente, case e persone impegnate nelle loro attività. Questo mi fa capire che la mia missione sta per terminare. Ancora pochi minuti e starò con i piedi per terra.
La torre di controllo ci autorizza all’atterraggio e la pista è sotto di me. Questo mi permette di rilassarmi. Anche oggi il mio volo è terminato e nonostante sia stanco sono soddisfatto. Tutto l’equipaggio è molto soddisfatto per il lavoro svolto, per il buon fine della missione e per avere contribuito allo scopo che ci vede impegnati in questa terra lontano da casa quasi 6000 km.
Tutto questo mi ha fatto venire una gran fame; credo mangerò qualcosa, dopo ascolterò vecchie canzoni di Bob Dylan e con i miei colleghi, con una birra tra le mani, rideremo del passato aspettando domani per un’altra missione.
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